Diplomatie: l’importanza della mediazione

Un’opera cinematografica dal sapore classico, quasi antico, che usa un episodio cruciale della storia contemporanea per ribadire un concetto fondamentale: usare la parola per scuotere le coscienze.
Il cinema di guerra negli ultimi anni ha presentato per lo più film adrenalinici improntati su scene d’azione e pochi dialoghi, perché spesso i vari registi tendono a mostrare i vari terribili aspetti della guerra, giocando in maniera magistrale, in alcuni casi, con i ritmi delle battaglie che caratterizzano questi conflitti. Lo abbiamo visto in Dunkirk del magistrale Christofer Nolan e in 1917 di Sam Mendes: due film diversi, quasi opposti, che raccontano orrori delle due Guerre Mondiali, così diverse nei fatti quanto simili nell’orrore. Diplomacy: una notte per salvare Parigi del tedesco Volker Schlöndorff, ispirato all’omonima opera teatrale della francese Cyril Gely, ribalta completamente questa concezione. Il fulcro dell’opera è il dialogo sostenuto e mai banale tra i due protagonisti, con l’azione ridotta ai minimi termini, come mero contorno di contesto alla battaglia verbale protagonista del film. Naturalmente, non è una critica e l’articolo non sarà una recensione tecnica, poiché non sono un critico cinematografico, né ho le basi didattiche e l’esperienza per poterlo fare. Sarà per lo più lo spunto di una riflessione più ampia.
Il film è ambientato nella giornata del 23 agosto 1944. Dopo l’Operazione Overlord del giugno’44, meglio conosciuta come lo sbarco in Normandia, inizia la corsa degli Alleati per la liberazione del continente europeo dal giogo nazista e la sconfitta del regime di Adolf Hitler. Il fronte orientale tedesco inizia a subire gravi sconfitte, perdendo terreno giorno dopo giorno. Gli angloamericani sono ormai a ridosso della capitale francese, prossima alla liberazione.
Nel quartier generale parigino del comando nazista presso Rue de Rivoli, guidato dal comandante Dietrich von Choltiz, interpretato dal francese Niels Arestrup, arriva un ordine perentorio e distruttivo da Berlino: prima di abbandonare Parigi, la capitale deve essere distrutta. Gli ultimi deliranti ordini di un despota, che da centinaia di chilometri chiede ai suoi uomini di eseguire i suoi ordini come in una grande partita reale di Risiko, al semplice fine di ricambiare infantilmente lo sfregio subito da Berlino per colpa delle sue stesse scelte. Il generale von Choltitz si reca nelle sue stanze in procinto di eseguire gli ordini. È qui che entra in scena Raoul Nordling, il console svedese presso Parigi in quegli anni e interpretato dal famoso attore francese André Dussollier, intenzionato a far cambiare idea al generale nazista. Da qui parte veramente l’opera che si incentra tutta sullo scontro dialettico tra il militare tedesco e il diplomatico svedese.
Il film tratta un particolare episodio storico, poco conosciuto fuori dagli ambienti accademici universitari, di uno dei passaggi bellici più studiati e letti al mondo. Tutti sanno come andrà a finire, perché tutt’oggi possiamo ammirare la meravigliosa capitale francese e godere delle sue bellezze. Tuttavia, è proprio in questo che sta la potenza del film: nonostante tutti conoscano l’esito della vicenda, lo spettatore rimane incollato allo schermo a seguire con apprensione l’evolversi del confronto tra il gerarca nazista e il console svedese. L’episodio è realmente accaduto a livello storico, ma, ovviamente, il dialogo tra i due è romanzato a livello di regia. Tuttavia, Schlöndorff, regista tedesco classe 1939 che ha un profondo legame d’affetto con la bella Parigi, riesce a disegnare un confronto dialettico elegante tra due mondi diametralmente opposti: da una parte il corpulento militare tedesco figlio di un mondo rigidamente gerarchico, addestrato all’obbedienza e all’uso della forza, dall’altra lo smilzo diplomatico svedese dall’aspetto tanto fragile esteticamente quanto risoluto e cristallino nella sua dialettica.
È il dialogo tra questi due protagonisti a rappresentare il corpo centrale di questa pellicola. Il film sembra più un’opera teatrale, dove i fatti si svolgono quasi tutti nella stanza del generale nazista. Le uniche scene al di fuori della stanza sono minime e necessarie a contestualizzare le azioni dei due protagonisti. Il militare ed il console si presentano eleganti, sontuosi, così come la stanza, in perfetto stile teatrale. Nonostante non ci siano scene d’azione e il ritmo sia lento, il film è vibrante, intenso perché i due protagonisti si confrontano e si scontrano con una dialettica anche dura a tratti, ma sempre e costantemente alta ed elegante.
Risulta difficile per lo spettatore prendere una parte. Idealmente tutti si schiererebbero con il diplomatico svedese, identificabile come un personaggio positivo, ma il dialogo evidenzia come l’interlocutore del console Nordling non è una fredda mente militare piegata all’obbedienza. Pian piano ci si immedesima nello stesso von Choltitz, il quale è propenso ad eseguire gli ordini non per questioni riguardati la disciplina militare verso gli ordini di un leader, riconosciuto ormai come delirante, quanto più per delle motivazioni personali e puramente umane. Come detto, l’unica arma in mano al console è solo la parola e infonde tutto il suo impegno nello scuotere la coscienza del militare. Infatti, riuscire a scuotere le coscienze risulta essere tutt’oggi l’arma più forte in mano all’essere umano, quella capace di portare ad un cambiamento senza dover ricorrere alla violenza.
Diplomacy possiede uno stile che lo rende un film diverso rispetto a ciò che siamo abituati, con un suo stile antico, quasi ancestrale nell’essenza, ma che suona come una forte critica al mondo odierno. C’è una battuta del console, in uno dei momenti cruciali del film, che stimola sempre nel sottoscritto grande emozione e diverse riflessioni. Nordling non sembra riuscire a dissuadere von Choltitz e in un momento di solo apparente sconforto afferma: “e così non vedremo più quella cupola, non vedremo il Louvre, Place de la Concorde, non vedremo più i nostri figli giocare nei parchi e le due torri di Notre Dame. Tutto deve sparire per sempre…. E lei non ha alcun rimorso?”. La riflessione che il console svedese cerca di creare nel generale è di fatto storica: essere ricordati come devastatori o come costruttori di un nuovo mondo.
Un film che fa della parola, della mediazione e della coscienza i suoi veri protagonisti, che stride e contrasta con la realtà dei nostri giorni. In un mondo dove è tornata di moda la politica muscolare, aggressiva, sempre volta allo scontro, allergica alla mediazione, all’ascolto e caratterizzato da una dialettica bassa e volgare, l’opera di Schlöndorff è una boccata d’aria che ricorda come il mondo occidentale non sia stato costruito su tali precetti. Ho sempre trovato Diplomacy come una sottile critica all’arroganza della nostra società chiusa in se stessa, sempre più incapace di riconoscere i propri errori e di guardare sinceramente al prossimo. Il film punta in parte a ricordare il nostro passato, cercando di stimolare appunto la coscienza dello spettatore e ad insegnare a quest’ultimo che la parola e la capacità di mediazione sono due armi più potenti di qualsiasi altra bocca da fuoco di questo mondo. Un’opera che sprona a riflettere sul nostro mondo, dove niente è mai completamente bianco o nero e dove la pace è un obiettivo tutt’altro che scontato.
Di Gregory Marinucci.
Fonti e ulteriori approfondimenti:
– il trailer del film: https://www.youtube.com/watch?v=ZRSX0A_NHR0&ab_channel=FilmTv.it
Di seguito alcune recensioni tecniche del film:
– Recensione Everyeye: https://cinema.everyeye.it/articoli/recensione-diplomacy-una-notte-per-salvare-parigi-24196.html
– Recensione Cineblog.it: https://www.cineblog.it/post/461610/diplomacy-una-notte-per-salvare-parigi-recensione-in-anteprima
– Recensione Cineforum.it: http://www.cineforum.it/recensione/Kammerspiel_illuminista